LA PANDEMIA E IL NEXT GENERATION EU
La pandemia Covid-19 non può più essere ritenuta una “emergenza” in senso letterale. È passato ormai un anno da quando la diffusione del virus mutato SARS-COV-2 ha colto di sorpresa il mondo – o quantomeno gran parte di esso – e tutta Europa ha ormai definito sia la modalità di gestione dei rischi immediati sia la strategia per arrivare a una soluzione definitiva (lo speriamo tutti). Da un lato, infatti, negli ultimi mesi abbiamo vissuto sulla nostra pelle la limitazione della libertà di circolazione delle persone, in quanto principali vettori del virus. D’altra parte, è ultimata la “corsa al vaccino”, prodotto a tempo di record e in diverse varianti da più case farmaceutiche nel mondo e distribuito in queste settimane in tutta Europa, con rapidità ed efficienza variabili in base alla capacità e all’organizzazione dei vari governi nazionali. Il dibattito pubblico, quindi, si sta sbilanciando sempre più verso le misure che saranno messe in campo per sostenere la ripresa della società e dell’economia a fronte degli enormi impatti che la pandemia ha messo in evidenza. A livello europeo è stato definito un Piano economico per la ripresa del continente, chiamato “Next Generation EU” (in breve “NGEU”), integrato al bilancio dell’Unione. Al budget pluriennale per il settennato 2021 – 2027 di oltre 1000 miliardi di euro, infatti, sono stati aggiunti fondi ulteriori per circa 750 miliardi di euro, da erogare nei primi anni del periodo. Il tutto nell’ottica di favorire la ripresa dai pesanti contraccolpi che la pandemia sta avendo sulle nostre economie e per favorire le transizioni che erano in corso ma che la crisi ha accelerato, su tutte l’integrazione digitale dei processi aziendali, con conseguenti modalità di lavoro alternative (e.g. telelavoro, smart working etc.).
Questo fondo è diventato l’oggetto della discussione, che sta occupando molto spazio nei giornali italiani sotto l’improprio cappello tematico detto “Recovery Fund” o, in alternativa, “Recovery Plan”. Nello specifico, i media si riferiscono alla quota delle risorse di Next Generation EU destinate al nostro Paese circa 81 miliardi di euro di sussidi a fondo perduto e 127 miliardi di prestiti, sulla base delle stime del governo. Per beneficiare di questi aiuti, assegnati al nostro Paese in misura maggiore rispetto a tutti gli altri Stati membri dell’UE, il governo è tenuto a presentare un “Piano nazionale di Ripresa e Resilienza” (PNRR); questo secondo quanto deciso nel Consiglio europeo del 21 luglio 2020, che ha dato vita a “NGEU”.
Ad oggi la definizione del PNRR italiano ha visto compiersi questi step principali:
- Il Governo ha affidato la responsabilità di redigere il programma al proprio Comitato Interministeriale per gli Affari Europei (CIAE), coordinato dal Ministro Enzo Amendola e coadiuvato da un Comitato tecnico che coinvolge le Regioni e gli altri Ministeri;
- Lo scorso settembre il CIAE ha inviato a Camera e Senato le Linee Guida per la definizione del PNRR, 38 pagine in cui ha individuato sei “missioni”, cioè delle “aree tematiche e strutturali di intervento”:
1. Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo;
2. Rivoluzione verde e transizione ecologica;
3. Infrastrutture per la mobilità;
4. Istruzione, formazione, ricerca e cultura;
5. Equità sociale, di genere e territoriale;
6. Salute. - Il 5 ottobre 2020 è stata approvata la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza – l’annuale pubblicazione con cui il Governo produce stime sul prossimo andamento dell’economia nazionale – e al suo interno sono state fornite indicazioni sulle previsioni di spesa pluriennale dei fondi ottenibili con Next Generation EU.
Quadro riassuntivo pubblicato nella Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, ottobre 2020
I lavori del CIAE sono andati avanti a cadenza regolare fino alla fine del 2020. I rumours più ripresi dai media parlano della considerazione di circa un centinaio di progetti, variabili per tematica, area territoriale, budget e impatti previsti. Il nodo principale delle discussioni delle ultime settimane, però, ha riguardato le modalità di gestione ed erogazione dei fondi dopo l’approvazione europea. È sempre più viva l’idea di un organo appositamente creato dal Governo per la gestione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e quindi dell’ingente quantitativo di fondi (più di 200 miliardi di euro, come detto) messi a disposizione da Next Generation EU. Questa “cabina di regia” – così è stata definita – dovrebbe vedere la partecipazione della Presidenza del Consiglio, dei Ministri dell’Economia e dello Sviluppo economico, nonché di 6 manager per ognuna delle missioni individuate a settembre. Ogni manager, sempre secondo quanto lasciato trapelare dalla Presidenza del Consiglio, potrà contare su diverse decine di tecnici (secondo le iniziali indiscrezioni addirittura 300, poi ridotti a 90). Questa linea strategica ha subito immediatamente pesanti critiche su più fronti, fino allo scontro e alla presentazione di piani alternativi in seno alla stessa coalizione di governo.
La scelta di rottura da parte del governo per quanto riguarda la gestione dei fondi NGEU rappresenta, evidentemente, la ricerca di un’alternativa alle strutture ordinarie che hanno avuto il compito di gestire ed erogare i fondi di derivazione europea negli scorsi settennati. Probabilmente tutto ciò è legato alle croniche difficoltà riscontrate dal nostro Paese nello sfruttamento dei fondi europei messi a disposizione ogni sette anni dal bilancio UE; criticità talmente acclarate da portare 6 italiani su 10, secondo un recente sondaggio di Euromedia Research pubblicato su “La Stampa”, a ritenere che i fondi saranno spesi male. Per comprendere se questa opinione ha fondamento nei fatti, sarà necessario analizzare come funzionano e sono organizzati i fondi dell’UE destinati allo sviluppo territoriale degli Stati membri.
A cura di Francesco Cafarelli