IL NGEU COME ULTIMO TRENO PER LE RIFORME STRUTTURALI

Gen 26, 2021 | News

Come visto precedentemente, sull’utilizzo degli oltre 200 miliardi di euro destinati all’Italia da Next Generation EU pende la spada di Damocle rappresentata dalla nostra storica difficoltà gestionale dei fondi di derivazione comunitaria. Scavando ancor più, abbiamo visto come le ragioni di questi problemi risiedano nei limiti strutturali e culturali relativi sia all’amministrazione pubblica sia all’impresa. Next Generation EU, quindi, sarebbe l’occasione – l’ennesima, forse l’ultima – per intraprendere un percorso di riforma profondo nel nostro Paese. Non bastasse tutto questo, il contesto pandemico richiede ancora più rapidità nelle decisioni. Per la nuova programmazione i governi europei hanno stabilito tempi brevi per l’attuazione di NGEU. La presentazione del PNRR alla Commissione europea è prevista entro il 30 aprile 2021. Solo una volta presentato sarà possibile ricevere la prima tranche dei fondi europei previsti per il nostro Paese, circa 20 miliardi di euro, in anticipo rispetto alla successiva valutazione del PNRR da parte della Commissione e del Consiglio europeo. 

La prima stesura del PNRR è stata approvata nel Consiglio dei Ministri notturno del 12-13 gennaio. I capitoli di spesa sono stati rivisti anche sulle indicazioni dei più scettici ma, in ogni caso, saranno oggetto di continua verifica da parte delle istituzioni europee, anche dopo l’approvazione.

Le modifiche al PNRR, dal punto di vista degli stanziamenti, tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021. Ciò a seguito dei primi contrasti emersi in seno alla maggioranza di governo. Ciò non è bastato a evitare l’uscita dei dissidenti, come visto negli ultimi giorni.

Gli investimenti sulla Pubblica Amministrazione sono immediatamente affrontati nel primo capitolo della prima missione (“Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”). Il primo dei problemi alla base delle nostre difficoltà con i fondi europei, quindi, è presente almeno a parole nel PNRR. Diverso è il caso relativo alla cultura d’impresa: l’allineamento tra gli obiettivi e le strategie di imprenditori e manager con gli interessi dei territori in cui operano non è un tema centrale nella definizione delle nostre politiche. 

Il quadro degli stanziamenti per la riforma della Pubblica Amministrazione previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza approvato lo scorso 12 Gennaio. L’auspicio è che queste risorse siano equamente distribuite in progetti non solo infrastrutturali ma anche di capacity building rivolto al personale. 

Di fronte alla stringente tabella di marcia e alla pressione politica generata dal fatto che la totalità dei fondi sarà erogata solo se gli obiettivi prefissati saranno raggiunti, si può comprendere come la domanda “Chi gestirà i fondi?” rappresenti un nodo importante. Meglio affidare le risorse ai ministeri interessati dai vari progetti o creare una struttura ad hoc? A tal proposito, come detto, si è scatenato lo scontro politico in seno alla maggioranza di governo, tanto da arrivare a una crisi istituzionale dagli esiti ancora incerti e all’uscita di parte della maggioranza dal governo. Da un lato sono comprensibili le remore sull’affidamento dei fondi alle strutture che, in più cicli di programmazione dagli anni ‘90 in poi, hanno faticato nella loro gestione. D’altro canto, la creazione dell’ennesima struttura amministrativa specializzata stride con l’idea stessa di efficienza, specie al cospetto di esempi opposti in Stati membri a noi paragonabili, come la Spagna, dove le risorse saranno aggiunte semplicemente agli esistenti portafogli ministeriali. 

La preoccupazione, però, riguarda l’appiattimento del dibattito sul “come” e sul “chi”, per giunta a totale esclusione del “perché”.  La sensazione, via via che il dibattito pubblico – e adesso anche parlamentare – si sviluppa, è che delle motivazioni sottostanti allo spreco dei fondi europei interessi a ben pochi dei protagonisti della diatriba politica. La logica conclusione è che ci si trovi al cospetto di un mascheramento di una crisi di natura sostanzialmente politica con il tema, importantissimo e non utilizzabile a pretesto, del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il PNRR non deve essere “tirato per la giacchetta” o utilizzato come una clava nell’ambito della lotta politica in Parlamento. Al contrario, il Next Generation EU rappresenta un piano pluriennale paragonabile al New Deal che studiamo nei libri di storia. Inoltre, come appena visto, dietro alla sua definizione si celano le problematiche alla base dell’inefficiente spesa dei fondi europei in Italia: l’eccessiva burocrazia, la necessità di riforme della PA, il bisogno di un diverso approccio culturale di amministrazioni e imprese ai fondi strutturali e in generale alle politiche territoriali. La definizione del “Recovery Fund” o, meglio, del “Next Generation EU” in Italia, dovrebbe essere la chance per affrontare e risolvere quelle problematiche, non l’ennesima occasione per strumentalizzarle.

A cura di Francesco Cafarelli