Il lato oscuro dei social network : manipolazione e polarizzazione nelle società odierne

Feb 5, 2021 | Uncategorized

A metà settembre scorso, è uscito su Netflix The Social Dilemma, un docu-drama di forte impatto, diretto dal regista americano Jeff Orlowsky. Il documentario denuncia l’influenza dei social media nelle società occidentali del XXI secolo, focalizzandosi sulla nascita del “Capitalismo della sorveglianza’’, un sistema di controllo capillare degli individui attraverso l’estrazione e manipolazione di enormi fonti di dati grezzi chiamato data mining. La narrazione si sviluppa sui due binari paralleli dell’intervista-denuncia, supportata dalla finzione cinematografica; un gruppo di giovani ricercatori e manager tra i principali sviluppatori delle aziende dei più importanti social network della Silicon Valley svela come il sistema delle reaction ai post come i like, le emoticon o le notifiche sia stato creato seguendo principi base delle neuroscienze. Ciò aumenta l’attrattività e genera una dipendenza, spesso patologica, tra utente e tecnologia.

L’algoritmo dei social network più diffusi come Facebook, che ha il compito di selezionare tra le migliaia di combinazioni possibili di notizie l’ordine dei post sulla bacheca di un utente, ha inscritto l’obiettivo di analizzare a fondo il sistema di valori e la narrazione preferita da quest’ultimo per riproporgli notizie dal contenuto simile e correlato. Basandosi su un’attenta analisi di data mining delle interazioni che l’utente ha stabilito con l’app stessa, l’algoritmo crea un mondo virtuale in cui le informazioni e le notizie sono raccontate nella maniera e nell’ordine che l’utente stesso si aspetta e desidera, innescando così un meccanismo psicologico chiamato “rinforzo intermittente positivo”. Tale meccanismo regola il rilascio della dopamina, ormone e neurotrasmettitore che induce la sensazione di euforia di cui l’ego va alla costante ricerca, inducendo l’utente a cercare sempre nuove notizie che confermino con stimoli positivi la propria rappresentazione della realtà. Questo fenomeno erode la condivisione intersoggettiva del mondo reale su cui si basano una collettività ed una società sana. Per meglio comprendere il processo di polarizzazione innescato dal meccanismo di rinforzo, si immagini ad esempio il caso in cui Wikipedia, l’enciclopedia online gratuita, anziché offrire contenuti identici a tutti gli utenti, fornisse una definizione diversa di ogni concetto per ogni singolo utente, adattandolo alle sue preferenze, basate su presupposti, valori e aspettative.  

Il fine codificato in seno all’algoritmo dei social network è prettamente economico: nel sistema capitalista pre-internet ci si limitava a pubblicizzare il prodotto e, nella maggioranza dei casi, adattarlo alle preferenze del consumatore. Oggigiorno, con l’accesso all’attenzione degli utenti che solo i social possono garantire, si è ultimato il processo di trasformazione e conformazione dei gusti dei consumatori stessi al prodotto. Da un lato, si inverte così il meccanismo ordinario di domanda-offerta e creazione delle preferenze dei consumatori. Dall’altro gli utenti dei social, studiati in ogni minima azione, reazione e comportamento, diventano essi stessi prodotti che i gestori delle piattaforme vendono alle compagnie pubblicitarie. Come afferma saggiamente Tristram Harris, ex informatico di Google e fondatore del centro per le tecnologie umane, “se il prodotto che stai utilizzando è gratis, allora il prodotto sei tu”. O, più specificamente, l’attenzione e tempo che gli utenti dedicano all’utilizzo delle app è il prodotto venduto alle aziende desiderose di pubblicizzare i loro prodotti.

L’impatto che i social network hanno sulla collettività ed i singoli non riguarda solamente l’analisi di dati personali o la manipolazione delle preferenze del consumatore: lo stesso processo persuasivo di indirizzamento è stato attuato rispetto a temi sociali e politici a fini elettorali o di lobby. Sfruttando ciò che la generazione di pensatori comunitaristi quali Zygmunt Baumann, Michael Sandel ed Adam Seligman definisce “l’enorme bisogno di comunità, appartenenza e fiducia’’, i social network agiscono perfettamente secondo la prescrizione “divide et impera’’.

I loro algoritmi creano gruppi particolarmente coesi intorno ad un ideale od una causa che viene sposata aprioristicamente e puntualmente rinforzata grazie ad un bombardamento mirato di notizie chiamato “fake news”. Queste notizie non sono sempre totalmente false. Spesso, esse sono notizie verosimili, contraffatte ad arte: il termine fake, infatti, indica qualcosa di contraffatto, cioè che altera la realtà, di fatto stravolgendola e deformandola secondo ciò che Immanuel Kant avrebbe chiamato giudizi sintetici a priori, ovvero opinioni non vagliate dalla realtà, che costituiscono i veri e propri nutrienti del pensiero ideologico. Le fake news non si pongono quindi come veicoli di nozioni palesemente false, ma come alterazioni di fatti verosimili volte a rinforzare le convinzioni e le credenze del gruppo di riferimento che sempre più si sente detentore della verità. Assistiamo ad un mondo progressivamente più polarizzato ed imprigionato in un meccanismo di autocompiacimento in cui chi ha idee diverse viene identificato immediatamente come nemico, un avversario, e dunque un pericolo per il gruppo di appartenenza da eliminare. La polarizzazione dei social network promuove un mondo lontano da quel pensiero liberale fondato sul pluralismo, sul dialogo, sul confronto tra parti. Emerge progressivamente l’ombra sempre più reale di un mondo caratterizzato da tribalismi sempre più pronunciati in cui il fronteggiarsi usando le armi spuntate di un’informazione manipolata assurge a nuova normalità. L’impatto sulle nostre vite è molto forte: se da un lato la ricerca spasmodica di conferme e di autocompiacimento porta a forme di frustrazione che sfociano nella patologia, dall’altro lato le campagne di disinformazione politica ormai dilagano ed il numero di Paesi in cui la vita democratica è seriamente minata è raddoppiato nel 2019, come rilevato dal New York Times in un articolo del settembre dello scorso anno. La realtà non è filtrata dal vaglio della razionalità ma è recepita solo in termini emotivi di adesione o non adesione.

È interessante notare come i social network abbiano un funzionamento “binario”, principalmente basato sul “mi piace” – e quindi fa parte del mio mondo – o “non mi piace”, del “follow” e “unfollow”; questo approccio dualistico porta ad un’estrema semplificazione e riduzione della realtà ed una chiusura di fondo rispetto alla complessità del mondo reale. Come in un continuo sondaggio di Instagram siamo portati a scegliere una delle due opzioni proposte, a strisciare con il dito da un lato o l’altro dello schermo per incasellare qualcosa da una parte o da un’altra. Lo si fa per una politica economica nazionale, per un fatto di cronaca o per i propri sentimenti. Si perde così empatia, la capacità di “sentire” l’alterità e con la facilità di un “unfollow”, si scioglie un legame.

The Social Dilemma delinea una realtà a tratti distopica e spettrale, in cui la post-verità regna sovrana in un mondo radicalmente relativista. La denuncia alle fake news, nonché l’esortazione allo smascheramento delle stesse e ad una regolamentazione sempre più capillare dei nuovi mezzi di informazione online a livello europeo si intrecciano indissolubilmente con gli obiettivi della Fondazione Antonio Megalizzi. La Fondazione si prefigge di portare avanti i sogni ed i valori di Antonio Megalizzi, il giornalista che perse la vita nell’attentato avvenuto a Strasburgo l’11 Dicembre 2018. In vita, Antonio si batteva senza posa per contribuire ad arginare la polarizzazione determinata dai social: rispondeva ai commenti su Facebook cercando di fornire dati oggettivi provenienti da fonti riconosciute come autorevoli. I suoi sforzi nel combattere le cosiddette bufale sono stati sistematizzati in ciò che si può definire il ‘’metodo Antonio’’: rimanere saldamente ancorati alla verità con un costante vaglio di tutte le informazioni disponibili e cogliere ogni occasione per spiegare agli interlocutori l’inconsistenza logica, qualora vi fosse, di alcune tesi stimolando un confronto aperto a tutti che sia in grado di offrire sempre nuovi spunti di riflessioni. Ed è così che la retorica consapevole del docu-drama di Orlowsky e la voce di Antonio si uniscono per combattere un male comune. Attuali e calzanti con il messaggio di The Social Dilemma sono le parole che Antonio ha utilizzato in uno dei suoi tanti scritti politici intitolato Diritti umani e tecnologie nei paesi terzi:

’Considerando il sempre più importante impatto dei sistemi tecnologici sulla nostra quotidianità, viene naturale credere che siano le tecnologie il non luogo nel quale vengono più spesso violati i diritti umani, come nel caso della sorveglianza di massa, le intercettazioni, la localizzazione dei cittadini e la loro attività privata, che sia telefonica o in rete…Un ulteriore problema deriva dalla presenza ingombrante delle multinazionali, che sfruttano delle leggi estremamente permissive per arrivare dove solo i governi possono arrivare: nelle abitudini, nella quotidianità, nel cuore e nella mente del popolo, al fine di studiarne i comportamenti per poterne ricavare maggior beneficio da un punto di vista commerciale. ‘’ (Borrometi, 2019, p.160)

Quale soluzione per spezzare il circolo perverso della dinamica di rinforzo intermittente positivo promossa dagli algoritmi social non regolamentati? Orlowsky sembra suggerire un’imposta sull’acquisizione di dati propria del data mining. Se a livello UE si imponesse alle multinazionali di pagare una quota fissa per ogni unità di dati immagazzinata, si porrebbe un forte disincentivo all’accumulazione di questi ultimi e alla conseguente mercificazione delle preferenze degli utenti a compagnie pubblicitarie terze.

Sicuramente, ridurre il tempo trascorso a disseminare like, dando quindi in pasto nuovi dati agli algoritmi dei social media, è un buon punto di partenza, ma rimane imperativa la diffusione di consapevolezza a livello nazionale ed UE di un approccio cauto ai social incarnato dal “metodo Antonio”: imparare a interrogarsi sull’autorevolezza della notizia, a cercare di approfondire e studiare la complessità dei fenomeni che ci circondano, ricercare e promuovere un’informazione quanto più imparziale e vicina alla veridicità dei fatti, anche sui social media.

Forse questo è il modo per spezzare il circolo perverso che sta attanagliando le democrazie occidentali e disinnescare le pericolose polveriere che algoritmi sempre più astuti e raffinati alimentano a fini di lucro.

A cura di Domenico Licheri e Davide Orsitto.