europarola: carbone
EuroParola è una rubrica a cura dei volontari e delle volontarie della Fondazione Antonio Megalizzi per spiegare in modo semplice le politiche europee a partire da una parola.
Il 9 maggio 1950 il ministro degli esteri francese Robert Schuman pronunciò quella che è passata alla storia come la Dichiarazione Schuman, la scintilla che accese il motore del processo di integrazione europea. Quel motore richiedeva però due materiali fondamentali: l’acciaio e il carbone. Dopo pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Schuman proponeva all’Europa, e in particolare alla Germania, di realizzare un mercato comune dell’acciaio e del carbone per generare uno pacifico sviluppo economico, la mitica “prima tappa della Federazione europea”. Non senza sforzi, nel 1951 cinque stati accolsero l’invito della Francia (Belgio, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) e crearono la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Il resto è storia. Se oggi Schuman tornasse fra noi si stupirebbe di come sia cambiata la percezione sul carbone. Del resto l’integrazione europea è nata sul carbone, precisamente su come evitare che intorno a quel materiale si creassero nuovi conflitti. Con grande dispiacere per Schuman, oggi il carbone continua ad essere, seppur in modo diverso, un elemento causa di scontri.
© Council of Europe
Il carbone è un combustibile fossile derivato dalla trasformazione di residui vegetali sedimentati nel terreno che nel corso del tempo si sono arricchiti di carbonio in un processo detto di “carbonizzazione”. Per lungo tempo il carbone è stato una delle principali fonti per la produzione di energia, diventando uno dei simboli della rivoluzione industriale. Nel corso del Novecento questo materiale è stato progressivamente sostituito dal petrolio, seppur non perdendo completamente il suo ruolo di fonte di energia.
Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), circa un terzo dell’energia mondiale è ancora prodotta dal carbone [1]. Insieme agli altri combustibili fossili è anche una delle principali fonti di emissioni di CO2 nell’atmosfera. Con la crescita dei movimenti ambientalisti e della preoccupazione nei confronti dell’inquinamento a livello locale e internazionale, l’uso dei combustibili fossili ha assunto un peso politico diverso.
Nel corso degli anni sono cresciute le voci di chi riteneva che la salvaguardia dell’ambiente dovesse essere riconosciuta come una priorità politica. L’Unione europea (UE) ha iniziato a intercettare queste preoccupazioni già a partire dagli anni 70. Infatti, già il Consiglio europeo di Parigi del 1972 ha affermato che lo sviluppo economico non poteva essere fine a se stesso, ma doveva essere funzionale a obiettivi più nobili, fra i quali compariva anche la protezione dell’ambiente. Il Trattato di Maastricht del 1992 e il Trattato di Amsterdam del 1997 sono state due tappe fondamentali nell’introduzione a livello europeo del concetto di sviluppo sostenibile in cui si coniugano aspetti economici, sociali e ambientali. Con il Trattato di Lisbona del 2007 la tutela nei confronti dell’ambiente e la lotta al cambiamento climatico sono diventate ufficialmente obiettivi dell’Unione. L’UE ha progressivamente integrato questo spirito “verde” in diverse sue politiche e strategie, come il commercio internazionale e la produzione di energia. Proprio per quanto riguarda quest’ultima, l’UE si trova oggi in una situazione abbastanza complicata.
L’UE produce energia sia da fonti interne che esterne, cioè importate da paesi non-UE. Secondo i dati dell’Eurostat riferiti al 2020, la produzione domestica di energia è di circa il 40%, di cui la maggior parte prodotta attraverso fonti rinnovabili [2].
Dall’altro lato, quasi il 60% della produzione energetica dipende dalle importazioni di stati non-UE e riguarda principalmente fonti fossili non rinnovabili. Inoltre, in quel 40% prodotto “in casa” c’è molta differenza fra uno stato membro e l’altro.
The negative values for the category ‘Other’ for certain Member States are due to net exports of electricity.
Source: Eurostat – access to dataset
Infatti, se nel 2020 Svezia, Lettonia e Danimarca occupavano il podio per produzione da fonti rinnovabili, Estonia, Polonia e Repubblica Ceca facevano altrettanto ma in termini di combustibili fossili solidi (tra cui figura il nostro carbone della discordia). L’adozione del Green Deal europeo nel 2019, con l’obiettivo di rendere l’UE a impatto climatico zero entro il 2050, ha accelerato la necessità di ridurre la dipendenza energetica da fonti fossili. L’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022 ha però complicato la strada verso questo già ambizioso traguardo.
Nell’ambito del Green Deal, tramite l’uso di fondi e di una piattaforma d’aiuto ad hoc, l’UE ha istituito una strategia per rendere socialmente giusta la transizione ecologica delle regioni carbonifere in alcuni stati membri in cui chiudere una miniera può interessare anche oltre 3000 posti di lavoro [3]. Inoltre, i singoli stati hanno adottato piani nazionali per lasciarsi alle spalle il carbone, seppur con scadenze diverse (l’Italia ha comunicato l’uscita dal carbone per il 2025 [4]). Tuttavia, la pronta risposta dell’UE nell’adottare pacchetti di sanzioni contro la Russia, ha portato Mosca a controbattere tagliando le esportazioni di gas verso l’Europa. Gli stati membri hanno reagito cercando di sostituire il vuoto nel mix energetico creato dalle contromisure russe, mettendo così in dubbio le varie “carbonexit” nazionali. Un caso emblematico è stato quello della Germania, fortemente dipendente dalle importazioni russe.
A gennaio 2023, le proteste ambientaliste nel piccolo borgo tedesco di Lützerath hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica europea. Il villaggio, ormai già quasi disabitato, doveva essere demolito per permettere l’espansione di una vicina miniera di carbone per poter compensare il vuoto lasciato dalle importazioni russe. Come ulteriore misura il governo tedesco ha ritardato di almeno un anno la chiusura di alcuni impianti di produzione energetica alimentati a carbone, seppur assicurando di voler mantenere l’impegno per l’obiettivo zero-carbone nel 2038.
Il carbone è stato un materiale centrale nella storia d’Europa, e in particolare in quella dell’integrazione europea. La stessa Commissione europea che oggi ha fatto della transizione ecologica uno dei suoi obiettivi principali è di fatto l’erede di quell’Alta Autorità della CECA il cui compito era assicurarsi il funzionamento del mercato comune del carbone e dell’acciaio. Nel corso del tempo, il carbone è diventato sinonimo di inquinamento e non progresso. Tuttavia abbandonarlo risulta ancora difficile per motivi pratici, economici e sociali. Sembrerebbe dunque che l’Europa stia tornando a dividersi proprio sul carbone, ma vi è un’importante differenza. La CECA ha dimostrato che gli stati europei sono in grado di collaborare, ma soprattutto di poter anche dissentire e discutere senza tragiche conseguenze. Oggi la sfida per l’UE è quella di unire gli stati e i cittadini non più attorno al carbone ma attorno all’obiettivo di relegare il carbone al passato.
A cura di Marco Nicolò
Note
[1] https://www.iea.org/fuels-and-technologies/coal
[2] https://ec.europa.eu/eurostat/cache/infographs/energy/index.html?lang=en
[3] https://energy.ec.europa.eu/topics/oil-gas-and-coal/eu-coal-regions/initiative-coal-regions-transition_en
[4] https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/PNIEC_finale_17012020.pdf