Europarola: ASILO
EuroParola è una rubrica a cura dei volontari e delle volontarie della Fondazione Antonio Megalizzi per spiegare in modo semplice le politiche europee a partire da una parola.
Ci sono diverse lenti attraverso cui leggere il fenomeno complesso e multidimensionale della migrazione. Una possibile lettura è quella per mezzo delle categorie giuridiche che qualificano i migranti e conferiscono loro diritti, primo tra tutti quello a soggiornare in un Paese. A goderne sono, tra gli altri, i beneficiari dell’asilo, ossia i rifugiati, qualificati nel diritto internazionale dalla Convenzione di Ginevra del 1951. La procedura per richiedere asilo può concludersi con il rilascio di uno status che mette in regola il migrante oppure con l’ordine di espulsione del richiedente dal Paese in cui ha chiesto protezione. Nell’Unione europea (UE), l’esistenza del sistema comune europeo di asilo (CEAS) prevede che le domande di asilo siano presentate a un unico Stato membro, in base ai criteri contenuti dal cosiddetto Regolamento di Dublino, e siano processate secondo standard comuni. Ma chi sono i rifugiati? Come è possibile ottenere questo status? Quali sono le regole europee che regolano l’asilo?
Una definizione internazionale: la Convenzione di Ginevra del 1951
L’asilo è la protezione che cerca chi fugge da guerre, persecuzioni o violenze verso un Paese diverso da quello di cittadinanza. È un diritto fondamentale che viene riconosciuto a chi soddisfa i criteri fissati nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951.
Essa definisce a livello internazionale lo status di rifugiato, ossia di chi ha ottenuto la protezione internazionale.
Secondo la Convenzione, è rifugiato colui che, temendo di essere perseguitato per la sua razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui è cittadino e non può o non vuole domandare la protezione di tale Stato.
La richiesta di asilo riguarda i migranti che entrano irregolarmente nel territorio di un Paese, cioè senza aver precedentemente ottenuto un visto. Per il migrante irregolare, ottenere protezione internazionale significa regolarizzare la propria permanenza in uno Stato, vedersela negare significa venirne espulso.
L’iter per l’ottenimento dell’asilo – quindi dello status di rifugiato – ha inizio con l’identificazione e la registrazione del richiedente: nel caso dell’Unione europea tali dati sono raccolti, insieme all’impronta digitale, in un database comune, detto Eurodac. Si procede poi alla formalizzazione della richiesta di protezione internazionale, sulla quale decide l’autorità competente. In Italia, l’organo preposto a tale valutazione è la Commissione Territoriale. Quest’ultima conduce dei colloqui durante i quali al richiedente è chiesto di raccontare le esperienze vissute nel Paese di origine e i timori relativi a rientrarvi. Sulla base della documentazione fornita, dell’audizione e del rischio reale esistente nel Paese in questione, la Commissione può decidere di riconoscere lo status di rifugiato oppure rigettare la richiesta. I rifugiati ottengono un permesso di soggiorno rinnovabile valido per 5 anni e il diritto a viaggiare (ma non a risiedere) liberamente in tutti i Paesi dell’UE. L’asilo conferisce altresì il diritto a lavorare e al ricongiungimento familiare. Al contrario, il diniego comporta l’ordine di allontanamento dal Paese e quindi il rimpatrio.
Secondo le più recenti stime (ottobre 2022) dell’UNHCR, l’agenzia ONU per i rifugiati, ci sarebbero 32,5 milioni di rifugiati in tutto il mondo. Tra questi, 7 su 10 provengono da Siria, Venezuela, Ucraina, Afghanistan e Sud Sudan. I primi tre Paesi per numero di rifugiati ospitati sono Turchia, Colombia e Germania. Infine, il 74% di tutti i rifugiati sono ospitati in Paesi a basso e medio reddito.
Trent’anni di politiche europee di asilo: da Dublino alla crisi dei rifugiati
Negli anni, l’UE ha sviluppato il sistema comune europeo di asilo, un quadro legislativo che stabilisce norme comuni in materia di protezione internazionale e fissa standard comuni per le normative in materia di asilo degli Stati membri.
La cooperazione tra Stati membri in materia di controllo delle frontiere esterne, immigrazione e asilo ha avuto inizio negli anni Novanta, anche in risposta alla creazione di uno spazio europeo in cui i controlli alle frontiere interne sono aboliti (spazio Schengen). Il primo atto in questa direzione è stato la Convenzione di Dublino, conclusa nel 1990 da dodici Stati membri. La Convenzione fissava inizialmente i criteri per determinare un unico Stato UE competente a esaminare una domanda di asilo. Oggi la normativa europea stabilisce anche standard uniformi per l’elaborazione delle domande di asilo, la protezione dei diritti dei richiedenti e le condizioni di accoglienza in tutti gli Stati membri, ma il sistema Dublino (oggi contenuto nel “Regolamento di Dublino”) non appare troppo differente dal 1990. In particolare, il criterio maggiormente applicato per individuare il Paese responsabile della domanda di un richiedente asilo è quello del primo Stato di accesso irregolare. Per questo motivo, gli Stati più esposti ai flussi in ingresso, quelli situati alle frontiere esterne dell’Unione, devono farsi carico delle quote più significative di richiedenti asilo.
Per quanto i trattati prevedano che le politiche di asilo debbano essere governate dal principio di solidarietà, non vi è al momento alcun meccanismo automatico di equa redistribuzione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri. Queste lacune sono emerse in particolar modo durante la crisi dei rifugiati del 2015-2016. In questi due anni, infatti, nell’UE sono state registrate oltre 2,5 milioni e mezzo di domande di asilo, mettendo a dura prova i sistemi di accoglienza di alcuni Paesi di primo ingresso.
La crisi ha segnato la storia recente dell’UE, rappresentando il fallimento degli Stati europei nel dimostrare la solidarietà necessaria a una gestione comune dell’emergenza e innescando il dibattito sull’inadeguatezza delle politiche europee relative all’asilo che continua tutt’oggi.
Verso un nuovo sistema europeo dell’asilo?
La politica di asilo dell’UE si trova in una fase cruciale di riforma e – auspicabilmente – di evoluzione. La Commissione europea ha lanciato nel 2016 un primo tentativo di riforma della governance europea della migrazione, fallito per le divergenze inconciliabili su alcune proposte tra cui, per esempio, la revisione del Regolamento di Dublino. Nel 2020, prendendo atto della cronica inadeguatezza delle politiche europee in materia di asilo e dell’incapacità di porvi rimedio, la Commissione ha avviato una nuova fase di riforma, annunciando il Nuovo Patto per l’Immigrazione e l’Asilo, pacchetto di proposte presentato come un “nuovo inizio” in materia di immigrazione. In realtà, molti dei principi su cui la gestione europea delle migrazioni si è sin qui fondata (ed è stata criticata) sono ravvisabili anche nelle nuove proposte rischiando così che “la montagna partorisca il topolino”. Nonostante l’adozione della riforma fosse prevista entro il 2021, oggi gran parte delle misure delineate nel Patto sono ancora oggetto di difficili negoziazioni tra gli Stati e in seno al Parlamento europeo. Ancora una volta, le principali divisioni si registrano sui meccanismi di ricollocamento dei migranti. L’impegno assunto dalle istituzioni europee è quello di riuscire ad approvare il pacchetto entro la fine della legislatura, prevista per la primavera 2024.
Nel complesso quadro di riforma del sistema europeo di asilo si è inserito un evento straordinario: l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Milioni di persone sono state costrette ad abbandonare l’Ucraina e in poche settimane gli Stati membri dell’UE hanno accolto oltre 4 milioni di rifugiati. La risposta così compatta degli Stati europei ha rappresentato un cambiamento radicale, sia per la sua tempestività, sia per la disponibilità di Polonia e Ungheria, in forte discontinuità con le politiche restrittive in materia di asilo tradizionalmente perseguite da questi Stati. La crisi ucraina ha rivelato l’esistenza di quella solidarietà mancata nella crisi del 2015-2016 e ha dato nuovo impulso al dibattito attorno alla riforma. A ogni modo, è improbabile che l’inedita risposta dell’UE abbia effetti a lungo termine sul sistema europeo comune d’asilo, essendo piuttosto destinata a rimanere un caso eccezionale dettato anche da ragioni di vicinanza dell’Ucraina.
Oggi al centro del dibattito tra i leader europei c’è prevalentemente il rafforzamento delle frontiere esterne, per risolvere a monte il problema degli afflussi importanti di richiedenti asilo verso l’UE. Sarebbe invece auspicabile che la riforma rendesse più snelle le procedure per l’esame delle domande di asilo e rafforzasse l’attenzione alla tutela dei diritti dei richiedenti asilo, specialmente delle persone più vulnerabili. Perché questo sia possibile occorrerà un impegno condiviso da tutti gli Stati membri a partecipare equamente agli sforzi che la gestione dell’immigrazione richiede. Come sempre, sarà necessario un compromesso, ma non dovrà essere al ribasso e dovrà avere al centro la dignità delle persone che vedono nell’UE una meta sicura.
A cura di Pietro Sala