Direttiva sul dovere di diligenza delle imprese: un passo necessario o azzardato?
Una crescita economica sostenibile non può prescindere dall’impatto delle imprese sulla società e l’ambiente. Le imprese non devono creare solo lavoro, ma anche operare responsabilmente sul mercato. Per questi motivi, si parla oggi di Responsabilità Sociale e di Condotta Commerciale Responsabile. Questi concetti hanno dato origine all’idea di diligenza d’impresa. La diligenza d’impresa mira a promuovere una condotta commerciale sostenibile e responsabile lungo le catene globali di valore. Questa è stata elaborata attraverso strumenti di diritto internazionale, adottati principalmente dalle grandi imprese multinazionali su base volontaria.
Tuttavia, accanto ai cosiddetti strumenti di soft law non vincolanti, nell’ultimo decennio l’Unione europea ha spinto per stabilire obblighi per le imprese. In particolare, nel febbraio 2022, la Commissione europea ha adottato una proposta di direttiva che richiederebbe a (date) imprese di identificare e, ove necessario, prevenire, porre fine o mitigare gli impatti negativi delle loro attività sui diritti umani (come il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori) e l’ambiente (come l’inquinamento e la perdita di biodiversità). Grazie a questa direttiva, l’UE vorrebbe creare condizioni di parità sul mercato senza compromettere le esigenze della società e l’ambiente. Può quindi una futura direttiva europea sul dovere di diligenza contribuire affinché le imprese operino più responsabilmente?
Per rispondere a questa domanda è necessario chiedersi quale influenza abbiano avuto gli strumenti non vincolanti di diritto internazionale sulla condotta delle imprese. Questi, fra i quali la “Guida dell’OCSE sul dovere di diligenza per la condotta d’impresa responsabile”, sono essenziali per stimolare gli Stati a legiferare e, allo stesso tempo, fornire linee guida alle imprese, lasciando loro un certo margine di flessibilità. Tuttavia, singole iniziative volontarie da parte di alcune grandi imprese non si sono dimostrate sufficienti nell’influenzare significativamente una condotta commerciale responsabile.
Preoccupanti conseguenze derivanti dalle operazioni di business continuano infatti a verificarsi troppo frequentemente. Si pensi, per esempio, al crollo del Rana Plaza, un edificio commerciale che ospitava una fabbrica di abbigliamento produttrice di marche internazionali, avvenuto nell’aprile 2013 nella capitale del Bangladesh. Tragici eventi come questi hanno contribuito a dare eco agli effetti negativi delle attività di business e spinto diversi Stati membri, quali, fra i primi, la Francia, ad adottare leggi sul dovere di diligenza. Certamente, gli obblighi di diligenza nazionali, applicati recentemente anche in Germania, hanno reso le imprese responsabili a livello nazionale dei loro impatti negativi. Tuttavia, un approccio nazionale non può essere adeguato a regolare le attività di business lungo le catene di approvvigionamento e di valore nel contesto del commercio internazionale. È difficile ottenere un miglioramento su larga scala attraverso azioni volontarie. Per questo, una direttiva europea potrebbe contribuire a portare maggiore certezza del diritto e condizioni di parità.
Grazie a una direttiva sul dovere di diligenza delle imprese, l’UE potrebbe finalmente richiedere agli Stati membri di stabilire obblighi di diligenza per le imprese di grandi dimensioni e dei settori ad alto rischio per quanto riguarda i loro impatti negativi effettivi e potenziali sull’uomo e l’ambiente. L’UE creerebbe così un modello condiviso di gestione del rischio per le imprese, superando le divergenze tra le legislazioni nazionali. La proposta avanzata dalla Commissione nel febbraio 2022 obbligherebbe le imprese interessate a integrare la diligenza nelle politiche aziendali e a prevenire e mitigare gli impatti negativi attraverso piani d’azione e garanzie contrattuali con i partner commerciali. Inoltre, stabilirebbe un meccanismo sanzionatorio e un regime di responsabilità civile. La proposta presenta tuttavia limiti, ad esempio, nell’applicazione degli obblighi alle imprese più grandi e non alle fasi produttive più a rischio, che potrebbero riguardare anche le medie-piccole imprese. Inoltre, gli obblighi rischiano di stabilire misure poco chiare o attuabili per le imprese. Per esempio, la direttiva, così come proposta dalla Commissione, imporrebbe l’obbligo di redigere un piano sulla transizione climatica. Questo, tuttavia, riguarderebbe solo alcune imprese e non rappresenterebbe quindi un obbligo di diligenza completo a fronte del cambiamento climatico. Per questi motivi, la proposta della Commissione, che rappresenta certamente un passo necessario per favorire un’economia più sostenibile, dovrebbe creare obblighi flessibili e pratiche adattabili per le imprese e garantire un meccanismo di applicazione equo. In questo modo, la direttiva non rappresenterà un passo azzardato, ma anzi stabilirà obblighi attuabili ed efficaci.
Dopo la prima approvazione da parte della Commissione Giuridica del Parlamento europeo lo scorso aprile, l’Aula di Strasburgo ha adottato la sua posizione sulla direttiva sul dovere di diligenza delle imprese durante la sessione plenaria del 1° giugno 2023. Nei prossimi mesi sarà avviato il confronto con gli Stati membri e il trilogo in cui le istituzioni europee coinvolte nel processo legislativo (la Commissione europea, il Consiglio dell’Unione europea e il Parlamento europeo) concorderanno la posizione finale comune.
A cura di Francesca Nolli